Amniocentesi

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Come si fa l’amniocentesi?

Per effettuare l’amniocentesi non bisogna per forza ricoverare la mamma, l’esame si esegue tranquillamente anche in ambulatorio. Prima di iniziare, si effettua un’ecografia per monitorare il battito cardiaco e per verificare l’età gestazionale, la posizione del feto, della placenta e del liquido amniotico da prelevare. Dopo aver disinfettato l’area addominale e continuando a mantenere la zona sotto controllo ecografico, si effettua il prelievo.

L’amniocentesi consiste nell’inserimento di un ago attraverso l’addome per arrivare all’interno dell’utero. Si tratta quindi di un esame invasivo e per questo spaventa tante mamme. Il test può essere eseguito tra la 15a e la 18a settimana di gravidanza, ossia il periodo in cui è presente una quantità di liquido amniotico sufficiente per poter effettuare il prelievo.

Quali sono i rischi?

Il principale rischio di quest’esame invasivo è l’aborto, ma le probabilità sono molto basse (fino allo 0,5%) e si riducono ulteriormente se ci si affida ad uno specialista con esperienza e competenza. A seguito dell’amniocentesi c’è il rischio di sviluppare infezioni uterine, ma capita solo ad 1 donna su 1000. Si tratta quindi di casi molto rari.

Nelle ore subito successive all’esame si potrebbero avvertire piccoli dolori o contrazioni, potrebbero essere normali ma nel caso siano di un’entità allarmante è consigliabile avvisare immediatamente il ginecologo.

Quanti giorni di riposo dopo?

Per l’invasività dell’esame, si consiglia il riposo assoluto nelle 24 ore successive e di non sottoporsi a gravi sforzi nemmeno entro le 48-72 ore successive.

Quindi si parla di 3-4 giorni senza sforzi, ma anche senza eccessive preoccupazioni. Infatti il liquido amniotico gode di un veloce recupero e in brevi tempi riesce ad essere perfettamente reintegrato. Bisogna comunque far riposare il corpo dopo questo piccolo motivo di stress.

L’ideale è dormire un po’ nella posizione più comoda per la mamma e senza temere di dover assumere posizioni particolari dopo l’esame. Solitamente in gravidanza viene consigliato di dormire sul lato sinistro, ma non per l’amniocentesi in sé, quanto per contrastare l’eventuale bruciore di stomaco e la nausea, sintomi comuni in gravidanza.

Amniocentesi: quando farla e quando no

L’amniocentesi non è un esame obbligatorio, è la mamma a decidere di sottoporsi a questo test. Solitamente per la sua invasività viene consigliato solo alle donne che hanno elevati fattori di rischio di anomalie cromosomiche nel bambino.

L’amniocentesi solitamente viene consigliata a donne oltre i 35 anni d’età, perché nelle gravidanze in età avanzata aumentano le possibilità che il feto sviluppi patologie cromosomiche. L’esame è raccomandabile anche qualora nel quadro familiare ci siano casi di anomalie cromosomiche e di ereditarietà, come la Sindrome di Down. Se dal dual test, ossia test combinati ecografici e biochimici, viene riscontrato un indice alto di rischio oppure se vengono contratte malattie infettive (citomegalovirus, parvovirus B19, toxoplasmosi o rosolia) è nuovamente raccomandata l’amniocentesi.

Oggi esistono diverse alternative a questo tipo di esame, semplici e per nulla rischiose: screening prenatali di ultima generazione, affidabili, veloci e precoci (effettuabili già dalla 10° settimana) per cui basta un prelievo del sangue materno.

Fa male?

La maggior parte delle donne sostiene che l’amniocentesi sia un test non doloroso. L’unica sensazione di fastidio può presentarsi al momento in cui viene inserito l’ago. Il test dura solo qualche minuto, senza necessità di anestesia.

Amniocentesi: cosa si vede?

Con l’amniocentesi si possono rilevare le possibili alterazioni dei cromosomi, responsabili di malattie genetiche importanti come:

  • la trisomia 21 o Sindrome di Down
  • la fibrosi cistica
  • X-fragile
  • sordità congenita o distrofia muscolare di Duchenne

È comunque impossibile poter identificare tutte le malattie genetiche. Schematicamente si possono identificare 5 panel diagnostici eseguibili sul liquido amniotico o sui villi coriali.

5 panel diagnostici

  • L’amniocentesi tradizionale. Diagnostica solo le patologie numeriche dei cromosomi, o aneuploidie, e le maggiori alterazioni strutturali.
  • L’amniocentesi con studio parziale del DNA. Con questa diagnosi si ricercano le malattie genetiche più frequenti come fibrosi cistica, atrofia muscolare spinale, ritardo mentale da X fragile, sordità congenita ereditaria, distrofia muscolare di Duchenne.
  • L’amniocentesi molecolare. Diagnostica microdelezioni e microduplicazioni con la tecnica aCGH. Più comunemente detta “cariotipo molecolare”, riconosce anche molte aneuploidie e deve essere associata alla citogenetica tradizionale, per non mancare altre diagnosi.
  • L’amniocentesi molecolare con studio parziale del DNA. Corrisponde alla somma dei precedenti panel diagnostici.
  • L’Amniocentesi Genomica NGPD o amniocentesi genomica (NGPD). Con questo tipo di ricerca si riesce a diagnosticare tra il 70/80% delle malattie genetiche. Si esclude il 100% solo per la possibilità che si manifestino patologie estremamente rare di origine genetica dubbia o sconosciuta.
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